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La storia del Vecchio Mulino a pietra azionato ad acqua a Castiglioni al fiume Caffarelli

 

(Erika Luks, Festa del Pane, Ottobre 2016)

 

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Nelle Marche del Medioevo si costruivano i mulini vicino agli innumerevoli fiumi e ruscelli per farli azionare ad acqua.

 

A Castiglioni di Arcevia il vecchio mulino costruito vicino al fiume Cafarelli era possedimento della nobile famiglia marchigiana dei della Genga, documentata dal sec. XI nel castello di Genga in provincia di Ancona.  L’età del mulino è incerta, la documentazione ufficiale a me accessibile inizia nel sec. XVIII con il conte Ilario della Genga (*1703, +1767) e la consorte Contessa Luigia Periberti (*1734. +1811, lapide in chiesa San Clemente, Genga) . Essi ebbero dieci figli, tra cui Matilda e Ilario e naturalmente il famoso Annibale che nel 1823 fu eletto Papa Leone XII.

 

Intorno al 1800 Ilario e Luigia regalarono ai figli Matilda e Ilario dei terreni adiacenti al mulino, per cui il mulino probabilmente esisteva già. Ilario figlio morì nel 1833 dopo dura deportazione da parte dei ribelli. Matilda scelse come stabile residenza  Fuggiano di Avacelli, dove aveva diversi possedimenti. La dimora residenziale si trovava presso la diga del canale che portava l’acqua al mulino. Matilda morí nubile nel 1836.

 

Marchese Antonio della Genga Sermattei (*1808, +1882) , nipote di Matilda, in quanto figlio del fratello Filippo (*1756, +1726) e della sua consorte  Anna Confidati Sermattei di Assisi, fu in seguito proprietario del mulino che passò poi nel 1874 per eredità diretta a Cristoforo Fiume Sermattei (*1881, +1929), figlio di Marianna della Genga e di Ulderico Fiumi Sermattei. Nell’anno 1914 il conte Cristoforo Fiumi Sermattei vendette il mulino assieme ai terreni adiacenti al mugnaio Francesco Pojani “Buroni” (*28. 11. 1859 +8.7.1933).  

 

I MUGNAI

Di solito i della Genga davano il mulino in gestione a mugnai che di riflesso godevano di grande reputazione. Sotto Cristoforo Fiumi Sermattei agiva il mugnaio Angelo Spoletini (*1828) con la moglie Luigia Marcelletta (*1830) e più tardi Anacleto Rossi (*26. 9. 1872 +10. 1. 1940) sposato con la figlia di Angelo, Rosa Spoletini (*18.2.1872 +24 .3. 1927).     I loro descendenti vivono ancora a Castiglioni. 
 

L’ARRIVO DELLA CORRENTE A CASTIGLIONI

Nell’anno 1920 arrivò la corrente elettrica a Castiglioni. Anacleto, sua moglie Rosa e il Figlio Alfio costruivano il mulino elettrico nel centro di Castiglioni. Iniziò a macinare nel 1922.  Come conseguenza, il mulino ad acqua vicino al fiume Cafarelli fu chiuso. 

 

CAMBIAMENTO D’USO DEL MULINO

Francesco Pojani , il mugnaio del mulino ad acqua,  morí,  al 8. 7. 1933. Una lapide posta vicino al mulino ricorda la tragica morte di Francesco. Il mulino fu venduto negli anni 1951/52 a Marino Profili fu Eugenio. Marino restaurò il mulino e aggiunse tre piccole abitazioni che furono date in affitto. Nel 1982 il mulino fu comprato dal falegname Matthias Schwager (*27.3.1952) e sua moglie Anne Manthey (*19.6.1958 +1.4.2016), i primi tedeschi residenti a Castiglioni. Matthias installò nel mulino una falegnameria e con la moglie Anna coltivò i campi nei pressi di Avacelli.

 

 OGGI

Gli attuali padroni del mulino siamo noi, Erika Luks (*17. 6. 1944) e Kurt Luks (*20. 3. 1942). Acquistammo il mulino nel 1986, ristrutturandolo con cura, senza alterare la struttura storica rimasta. L’antico mulino è restato ben visibile: esistono ancora le tre entrate dell’acqua, i canali di scarico, la volta a botte nello scarico principale, l'apertura per un tirante, il piano delle macine e il magazzino. Il canale non esiste più, ma nella Mappa Gregoriana del 1835 si può vedere l’andamento del canale dalla diga fino al mulino. La diga è divenuta un bel posto di riposo e rinfresco.

Oggi il mulino svolge il compito di dimora privata e come monumento è strettamente legato alla storia del paese di Castiglioni e della  famiglia della Genga. 

 

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DIGA E CANALE

La diga fu costruita 400 m più a monte dove il livello del fiume era più alto del mulino. La diga serviva per deviare una parte dell'acqua in un canale artificiale, detto la gora. Fu larga fino a 2 m e delimitata da due forti muri di sasso che furono coperti con grosse lastre di pietra. Il fondo era di terra battuta, il pelo dell' acqua era lisco e con piccolissima pendenza in modo che la corrente fosse lenta e senza vortici. Si evitavano cosi erosioni del terreno e dei muri e si teneva il livello dell' acqua il più vicino possibile a quello della presa alla diga. Dopo la chiusura del mulino  l'ambiente tra la diga e il mulino cambiò lentamente la sua struttura. E cosi, il canale del fiume Caffarelli scomparve. Qualche anno fa hanno riscoperto un pezzo  del canale e scavato i sassi per decorare l'ingresso di una casa.

MULINO 

A ca 20 metri a sud del mulino la gora si allargava e formava il bottaccio, un invaso a pianta triangolare che fu sbarrato dalla parete del mulino. Per regolare l'arrivo dell'acqua alla fine della gora, c'erano due paratie che evitavano che l'acqua entrava in certe situazioni nel bottaccio, p. e. quando c'era pericolo di piena, oppure durante la manutenzione al bottaccio o al mulino. In questi casi si deviava il corso dell'acqua direttamente verso il fiume. Per regolare il livello dell' acqua nel bottaccio per evitare che tracimasse dal bottaccio quando il mulino non lavorava, hanno costruito nel muro del bottaccio posto verso il fiume  uno sfioratore per determinare il livello massimo dell'acqua.

 

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Nella parte bassa della parete dell'edificio verso il bottaccio erano ricavati i canali tronco conici, detto trombe o roggie, una per ogni macina (2), simili a grandi imbuti inclinati verso il basso, che convogliavano l'acqua in pressione verso le camere delle acque. Alla fine della tromba il foro era sbarrato da una saracinesca che regolava il getto in pressione sulle pale della ruota orizzontale.

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Dopo la roggia c'era il vano detto camera delle acque. Un locale interrato, costruito in muratura a sasso di fiume, e coperto con una volta a botte per reggere sia il peso della costruzione sovrastante che la forte spinta dell'acqua.

La ruota, detta rodet, aveva le pale incastrate in un fuso di legno su cui s'innestava l'albero verticale, detto il ritrecine, che trascinava in rotazione – mediante un asse di collegamento in ferro – la macina mobile che fu posta al piano superiore. L'asse - collegata con la macina mobile – passava prima attraverso il buco nel pavimento del piano superiore e dopo attraverso la macina fissa.

La rodet poggiava su un traversone in un incavo rivestito di metallo per ridurre l'attrito, detto bronzina. Sull'estremità del traversone, detto la banchina, c'era una leva collegata a un tirante, detto alzatoio, che era manovrabile dalla camera delle macine. Questa leva aveva due scopi: il primo era variare l'altezza alla saracinesca rispetto al getto d'acqua e il secondo di regolare la distanza tra la macina mobile e quella fissa per determinare la finezza del macinato.

L'acqua ritornava poi attraverso il canale di scarico verso il fiume Caffarelli.

 

Le spiegazioni tecniche sul metodo di lavoro del mulino sono tratte dal libro "Mulini storici: conoscenza e suggerimenti d'uso" di Silvano Bonaiuto, Associazione Italiana Amici Mulini Storici (AIAMS).

 

 

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Se qualcuno avesse ancora delle informazioni di piu sul mulino e l'albero geneologico oppure delle correzioni dei dati, potrebbe mandarmele (Diese E-Mail-Adresse ist vor Spambots geschützt! Zur Anzeige muss JavaScript eingeschaltet sein!)

 

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